Appello di Pinar Selek alla 12a corte d’assise di Istanbul in data del 17 Maggio 2006.

Appello di Pinar Selek alla 12a corte d’assise di Istanbul in data del 17 Maggio 2006.
Vi presento questo testo chiamato ‘difesa’ nel gergo giuridico, non per difendermi contro le diverse imputazioni, ma piuttosto per spiegare come mi sono battuta per la mia dignità, per la mia persona, me stessa, la mia ricerca di libertà e il mio legame alla vita contro l’assedio che ho affrontato per molto tempo.
Sì, è vero che da quando il complotto del Bazar delle spezie1 ha messo la mia vita tra parentesi sono stata in una posizione difensiva. Adesso, proverò brevemente a spiegare per cosa mi sono difesa e come.
Dalla mia infanzia, ho provato a immaginare come potesse esser possibile una vita libera, etica e felice. Ho studiato sociologia per trovare delle risposte a queste domande, per capire me stessa e la società, e per estendere il mio spazio di libertà. Durante i miei anni all’Università, come parte di questa ricerca infinita, ho provato a creare il mio percorso mettendo in questione le relazioni tra sapere e potere, i modi nei quali la scienza diviene istituzionalizzata, tutto quello che era troppo sacro per essere toccato, e i modelli comportamentali e di linguaggio. Poiché avevo fatto un grande sforzo per trovare risposte alle mie domande e che avevo analizzato ogni parola che avevo imparato, mi laureai con lode.
Nella mia difesa durante il processo del 14 Aprile 1999, ho fatto un riferimento a Bourdieu che, partendo dalle parole di Flaubert, “Un sociologo entrerà in contatto, quasi certamente, con diverse vite, proverà a capire le persone che hanno emozioni e vissuti dei quali lui/lei non ha mai fatto esperienza”, dice “Io voglio entrare in molte vite. Ovvero, discutere con la gente che vive quelle esistenze e costruire connessioni tra soggettività”. Ho passato i miei anni di università che iniziarono con questa precisa motivazione non nei corridoi o nelle mense, ma dentro la vita stessa, sempre provando. Ho sempre tentato di sondare l’insondabile e così, a modo mio, di illuminare le oscurità.

Credevo che i sociologi, proprio come i medici, dovessero avere la capacità di guarire le ferite della società. Dopo aver terminato la mia ricerca sul modo in cui i transessuali erano stati cacciati da Ulker Street2 e averla trasformata in una tesi di laurea, io non potevo proprio abbandonare le persone di cui avevo condiviso i problemi, dicendo che “ho ottenuto ciò che volevo”. E allora, non le ho abbandonate. Ho partecipato a un laboratorio con le persone che avevo incontrato durante varie ricerche e che erano state tutte colpite da un differente meccanismo di esclusione e isolamento. Era chiamato il Laboratorio degli Artisti di Strada.

E’ orribile veder questo laboratorio presentato come una fabbrica di bombe. No, mai una bomba sarebbe potuta entrare nel nostro laboratorio. Al contrario, in quello spazio veramente piccolo che avevamo, stavamo provando a sconfiggere tutte le forme di violenza, tentando, invece, di curare le ferite causate dalla violenza. Noi dobbiamo ripulire la reputazione di questo prezioso sforzo, non solo per me o per le altre persone del laboratorio, ma anche per la società. Il nostro laboratorio, che è stato calunniato con orribili accuse, era, in realtà, un luogo d’amore.
In quel posto, le persone che erano state scaricate dalla società come rifiuti, raccoglievano materiali utili dai bidoni della spazzatura e li trasformavano in opere d’arte. Quale gruppo di persone che, all’inizio, non sapevano come unirsi e gestire l’isolamento e l’assedio che stavamo fronteggiando, siamo ritornati alla vita attraverso l’arte, siamo sbocciati, e abbiamo perfino iniziato a mettere radici. In quel minuscolo spazio dove venivano realizzati maschere, vasi fatti di fango, statue di gesso e dipinti, abbiamo fondato un teatro di strada. E in brevissimo tempo siamo stati invitati in numerosi luoghi per fare delle performance. Le nostre opere d’arte iniziarono a essere esposte per le strade. Abbiamo anche pubblicato una rivista. Abbiamo chiamato questa rivista, che contava numerosi autori e distributori: “Ospite’”. Tutti continuavano a dire: “Il senso dell’ospitalità è morto…la TV e la vita cittadina hanno ucciso l’ospitalità”. Ma noi siamo riusciti a far ospitare nelle case di altra gente persone, che non potevano far ascoltare le proprie voci, e, in un certo senso, a far rivivere il senso dell’ospitalità. Grazie ai nostri solidi legami nelle strade, abbiamo distribuito in breve tempo le 3.000 copie che avevamo stampato.

Il nostro laboratorio era molto piccolo, ma il suo impatto stava crescendo quanto la sua produttività. Questo laboratorio con la sua politica di apertura, dove decine di persone passavano ogni giorno e dove a volte transessuali e bambini senza dimora venivano a trovare rifugio, era anche un luogo per iscriversi all’atelier e mescolarsi agli altri. Così, chiunque avesse dei problemi poteva venire a trovarci. Quelli che erano abituati a diventare aggressivi a causa della violenza e dell’esclusione che avevano vissuto imparavano ad avere fiducia in se stessi e negli altri all’interno del nostro laboratorio. C’era anche chi ha abbandonato la prostituzione e le droghe grazie al potere dell’arte e della condivisione.

Ed è allora che tutto è andato in pezzi. Appena stavamo iniziando a radicarci, mi sono improvvisamente ritrovata in mezzo a questo infame complotto e ne sono diventata la figura centrale, l’attrice principale. Il complotto del Bazar delle spezie è stato, prima di tutto, un attacco contro il giardino d’amore che avevamo creato dal fango, contro la nostra fonte di vita nel deserto. Il nostro laboratorio, che era situato in mezzo a Beyoglu3 e le cui porte erano sempre aperte a tutti, in modo che le persone potessero andare e venire quando volevano, è stato etichettato come un “deposito di bombe” e la donna più attiva del posto descritta come la terrorista. Quando questo è successo, le speranze delle persone in quel posto, che comunque dovevano costantemente affrontare problemi, furono distrutte. Queste persone, che avevano subito violenza quotidianamente ma che avevano costruito insieme l’esperienza collettiva di una forma di esistenza non violenta, furono costrette a crollare di fronte a un tale attacco contro il nostro laboratorio.
Un travestito che venne a trovarmi quando ero in carcere mi disse: “Un sogno può solo sopravvivere a tutto ciò. I nostri sono durati fin troppo a lungo. Io continuavo a dire che qualcosa sarebbe andato male. Ripetevo che ciò era troppo bello per essere vero, che la vita non poteva affatto andare così bene. Ma questo è andato oltre le mie aspettative. Io ne ho passate delle belle. Pensavo di essermi abituata a qualunque cosa, ma non ricordo niente che mi avesse toccato quanto questo. Hanno contaminato la cosa più candida e pulita che avessimo. E’ come se avessero ucciso il nostro bambino. Che vita terribile! Anche se tu fai del bene, loro riescono a contaminarlo. Non puoi sfuggire, non puoi scappare. Mi sono veramente spaventata”.
Le condizioni di vita e di lavoro di questa mia amica travestita mettevano costantemente a rischio la sua vita. Lei poteva essere uccisa con una coltellata, nel mezzo della notte, sull’autostrada E5 o altrove, e sarebbe stata abbandonata là. Tuttavia, malgrado questo pericolo, i miei amici travestiti non mi hanno mai lasciato sola. C’erano solo loro? I bambini di strada, che erano sempre stati i lavoratori più attivi nel Laboratorio degli Artisti di Strada, sono venuti con tenacia in tribunale, già dalla primissima udienza. Non era per niente facile per loro. Questi bambini, che in continuazione vengono uccisi da assassini sconosciuti, scappano soprattutto dalla polizia proprio come i travestiti. Ancora, sono venuti a testimoniare per me a un processo nel quale le stesse autorità di polizia mi accusavano. Hanno detto: “La nostra sorella maggiore Pinar non ci avrebbe neanche lasciato portare del solvente in quel posto”. Io continuavo a mandare loro dei messaggi dicendogli di non venire in tribunale; perché avevo paura che fossero puniti per questo. Ma loro non mi avrebbero affatto ascoltato. In realtà, non stavano difendendo solo me, ma anche il loro laboratorio. Hanno fatto ogni cosa che potevano per impedire che l’amore creato da noi nel laboratorio non fosse inquinato.

Il nostro amore non è stato contaminato, ma il nostro laboratorio andò in pezzi.

Io continuo a pensare a cosa il complotto del Bazar delle Spezie abbia danneggiato di più. I miei anni più belli, o il mio futuro? Prima di tutto, questo complotto è costata la morte di mia madre. In secondo luogo, ha mandato il Laboratorio degli Artisti di Strada in così tanti pezzi che non è più possibile ripararlo…

Cosa penso sia successo dal mio punto di vista?

Ho imparato che questa è la regola del gioco. Se tu tenti di dire ad alta voce la parola d’ordine, sei dichiarata colpevole. Inoltre, non sei incolpata di aver detto ad alta voce la parola d’ordine, ma piuttosto sei ritenuta colpevole per qualcosa contro cui hai passato l’intera vita a lottare e a batterti. Per esempio, se sei una suora, tu sei accusata di prostituzione. Se sei qualcuno che ha consacrato la sua vita a tener in vita i valori dell’Islam, ti stigmatizzano come uno spacciatore di alcool o di droga. O, se sei un’antimilitarista, ti accusano di essere una terrorista. E questo viene fatto in modo talmente criminale che sei costretta a difenderti. Così, appena ti avvicini, poco a poco, a un certo punto di vista, sei costretta a cominciare ad occuparti di te. Le accuse si susseguono una dopo l’altra e continuano a ripetersi…Anche se queste accuse sono solamente delle dichiarazioni, il fango che è stato gettato su di te lascia il segno e tutti quelli che ti guardano si ricordano di queste accuse. D’ora in poi, ti è impossibile mantenere la tua vecchia identità. Non sei accusato di un crimine premeditato, no. Non sei neanche dichiarato “criminale per la pace”. L’organizzazione guerrafondaia ti ‘terrorizza’, ti trasforma in terrorista, e ti presenta a milioni di persone con questa nuova identità.
Sono anche rimasta intrappolata nelle regole del gioco. Anzi, mi aspettavo di avere dei problemi ed eventualmente di essere portata dinanzi a voi per la ricerca che avevo fatto, e mi sono assunta questo rischio coscientemente. Ma non avrei mai potuto immaginare di ritrovarmi in mezzo a questa cospirazione così terribile e disumana.

Quando sono stata arrestata, la prima cosa che loro hanno voluto sapere erano i nomi di tutte le persone che avevo intervistato durante la mia ricerca. Mi sono rifiutata di rispondere alle loro richieste, dicendo che avevo fatto ricerche su persone che erano state forzate al crimine per anni, e che io non avevo mai dato alla polizia nessuna informazione su di esse. Nel frattempo, loro stavano ispezionando la mia ricerca. Poi, all’improvviso, la mia ricerca è sparita ed è stata trasformata in una bomba. Hanno dichiarato che io avevo aiutato dei militanti a nascondere le loro bombe mentre facevo la mia ricerca. E’ così, hanno fatto della mia tesi anti-militarista una bomba. Hanno intensificato la tortura, dicendo che avevano trovato degli esplosivi addosso a me e anche nel laboratorio, che pensavano fosse la mia “base di lavoro”. E’ estremamente duro per qualcuno raccontare le torture cui sono stati sottoposti. Ma suppongo che qui sono costretta a menzionarle: se pensate anche solo a come vi sentite quando vi procurate un taglio ad una mano o quando vi slogate una caviglia, potreste iniziare a capire quello che si vive sotto tortura. Sono stata sottoposta ad una tortura particolarmente intensa e insopportabile. Il mio braccio si è slogato mentre ero appesa con le mani dietro la schiena e l’hanno rimesso a posto in un modo veramente atroce. Mi hanno quasi sempre privata del sonno. La maniera in cui mi hanno torturato il cervello, urlando delle cose del tipo, “ Ne faremo una spugna!” non era diversa dall’elettro-shock che subiscono i malati negli ospedali psichiatrici. Potrebbe sembrare una storia tratta da un romanzo di fantascienza che una donna che si è ampiamente concentrata sul tema della Salute mentale e della Follia potesse essere lei stessa sottoposta a uno ‘shock’, ma nella realtà è davvero una cosa estremamente dura da sopportare. Il più grande supplizio sono state le loro minacce di torturare i bambini di strada e i travestiti e di esporli ai media se io non avessi fatto quello che loro chiedevano. E quindi, per liberarmi di loro e poter continuare prima possibile la mia lotta in condizioni più sane e, più di tutto, per evitare che qualcuno intorno a me fosse ferito, io ho firmato una deposizione. Questa deposizione era unicamente a mio svantaggio, che dichiarava che avevo aiutato le persone sulle quali avevo svolto le mie ricerche; e la sua assurdità era così palese da sapere che sarebbe apparsa tale. Ricordo vagamente di esser stata condotta in carcere, portata dal procuratore; ma quel sentimento dominante di ‘sono appena sfuggita dalle loro grinfie!’ è ancora fresco nella mia mente. Poiché la totale assurdità delle accuse che pesavano su di me era chiara quanto la luce del giorno, avevo totalmente fiducia nel fatto che tutto sarebbe finalmente uscito allo scoperto. Il laboratorio d’arte non era la mia “base di lavoro”. Era impossibile che ci fosse una bomba lì. Inoltre, in breve tempo, fu svelato che gli esplosivi che presumibilmente erano stati trovati lì erano stati precedentemente in possesso della polizia. Eppure i cospiratori erano ostinati. Un mese dopo la mia incarcerazione, mentre ero intenta a pensare che ‘sarei stata presto rilasciata’, mi sono vista all’improvviso in televisione. La sceneggiatura si stava sviluppando e ne ero diventata l’attrice principale. A quanto pare, l’esplosione nel Bazar delle Spezie fu causata da una bomba, e questa bomba era stata messa da Pinar Selek. Mi ricordo che, mentre mi guardavo allo schermo, mi sono sentita come se fossi sospesa in un vuoto totale. In seguito, le dichiarazioni si sono susseguite l’un l’altra, e numerose accuse si sono accatastate una sull’altra. Con testimonianze estorte a diverse persone, hanno tentato di addossarmi la responsabilità di numerosi crimini, come un omicidio mafioso che era avvenuto quando stavo in carcere, altre esplosioni ecc. Queste persone che firmarono le deposizioni contro la loro volontà sotto tortura, hanno spiegato in tribunale in che modo erano state costrette. Tuttavia questo non ha mi ha evitato di dover far fronte a una catena di accuse del tutto intricata. Comunque, la parte più penosa della sceneggiatura è stata la tragedia di questi confessori. Abbiamo tutti visto quello che è successo a queste persone durante la causa. Credo che loro siano le vittime più importanti di questo intero processo.
Mi è dispiaciuto vedere la mia ricerca distrutta. Nondimeno, ciò che è peggio è che una tale punizione di un atteggiamento che aveva solo tentato di alleviare le ferite inasprite della società è diventata anche una minaccia contro ogni tipo di diagnosi e cura ancora da venire. Attraverso me, un segnale di allarme è stato inviato a tutti gli uomini e tutte le donne in cerca di una posizione indipendente. I sociologi, i ricercatori di scienze sociali e i militanti sono stati additati. Ed io sono stata scelta quale simbolo.

 

Così allora, come ho resistito? Come mi sono difesa?
Gli ufficiali che mi portarono in prigione continuavano a insistere che io presto avrei commesso un suicidio e che mia madre sarebbe morta. Dopo esser stata intrappolata dentro queste quattro mura, presi molto in considerazione ciò che questo significava. Poi, tutti gli eventi che seguirono resero abbastanza chiare le intenzioni nascoste dietro quelle parole. Comunque, a quell’epoca sia mia madre che io ci aggrappammo alla vita, fervidamente. Ero stata trascinata a fondo in così tante dichiarazioni, così tante cause penali che se mai avessi frugato tra queste io sarei sicuramente affogata. Non mi accadde. Alla prima udienza dissi, “se l’esplosione al Bazar delle Spezie è stata causata da una bomba questo è un crimine contro l’umanità, ma anche le accuse che ho dovuto fronteggiare sono un crimine contro l’umanità.” Infatti, io ho rifiutato tutte le dichiarazioni e ho provato a continuare il mio lavoro, anche se mi trovavo in prigione. Sono riuscita a vivere senza cadere sotto la pressione psicologica della causa di tribunale e i relativi argomenti.

Io non so quanto si possa eventualmente spiegare com’è stare nella sezione delle donne per due anni e mezzo. Ricordo che mi confrontavo spesso con me stessa; che le mie necessità e i miei progetti per il futuro diventavano sempre più chiari; vivendo contemporaneamente la confusione mentale ed emotiva e la chiarezza e la semplificazione.

Ho trasformato in un guadagno i 2 anni e mezzo che ho passato in prigione. Anche se non ho potuto portare all’esterno molto di ciò che avevo scritto lì dentro e non so neanche cosa ne è stato fatto, scrivere mi ha aiutato a raccogliermi e mi ha reso più forte. So della sofferenza che molti filosofi e pensatori hanno vissuto nel passato. A volte, si deve essere condannati per aver detto la verità. E, per la verità, ci si deve assumere questo rischio. La stimata Corte ricorderà che, alle prime udienze, io mi sono identificata con le donne che furono bruciate vive come streghe durante il Medioevo. Comunque, è una cosa orribile per una persona che è contro la violenza e che ha dato la sua vita per lottare contro la violenza, il militarismo e tutte le guerre essere presentata alla società come colei che ha perpetrato di un massacro. E quel che è peggio, sono all’improvviso diventata una figura mediale. Dover costantemente spiegarsi distrugge la propria libertà, genuinità e la propria relazione con la verità. Sfortunatamente, questo tipo di distruzione è avvenuto nel mio caso…

Dopo essere uscita di prigione io non ho iniziato a recitare il ruolo della ‘brava ragazza’ per una coscienza colpevole. Non ho permesso a questa causa di colpire la mia vita. Appena sono stata rilasciata, proprio ai cancelli della prigione, io ho annunciato che avrei continuato la mia battaglia per la pace. Se il mio minuscolo sforzo per la pace era stato punito in una tale maniera, io dovevo amplificare e ampliare questo sforzo e renderlo più importante – soprattutto, per rispetto di sé. La direzione che ho preso nella vita è stata influenzata dalle ricerche che avevo seguito prima che mi accadesse questa cospirazione. Questa volta, loro vennero da me con minacce dirette e indirette. Quando è stata svelata alla vostra presenza la totale assurdità di tutte le accuse che mi fecero, la loro mania di condannarmi per qualche motivo continuò ancora. Il loro piazzare nel mio dossier le false notizie sul giornale Milliyet è l’ultimo esempio di ciò. Comunque, proprio sullo stesso giornale è stato scritto un pezzo abbastanza lungo che rivelava la falsità delle notizie sopra menzionate, nel quale anche l’editore esecutivo si è scusato per non essersene accorto. Voi sapete molto meglio di me come questo tipo di notizie viene preparato. Il fatto che nel mio dossier sia stato messo in fretta questo articolo, della cui inesattezza anche l’amministrazione del giornale si è resa conto e per il quale si è scusata, rende abbastanza evidente questa cospirazione, continuata con smisurata incompetenza.

Comunque, nonostante tutto questo, io non mi sono ancora arresa alla cospirazione del Bazar delle Spezie. Il mio segreto era l’amore. Prima di tutto la mia famiglia è sempre stata con me, con fiducia e sforzo illimitati. Mio padre, con la sua pipa da tabacco sempre in mano, ha lavorato come un detective dal primissimo giorno. Posso immaginare che lo stress che i chirurghi provano nel dover operare le proprie figlie ha pesato anche su di lui, ma nemmeno una volta ha dato segno di questo. Io ho sempre sentito la sua mano sulla mia spalla, confortarmi e supportarmi. Mia madre era una classica donna dell’era Repubblicana e questo è l’esatto motivo per cui ciò che è mi è accaduto l’ha colpita molto duramente. Poiché loro avevano già intercettato le nostre linee telefoniche, sapevano tutto sulle condizioni di salute di mia madre e per questo che mi avevano detto che lei sarebbe morta presto. Nonostante il suo grave disturbo cardiaco lei non ha mai smesso di proteggere sua figlia contro questa terribile aggressione. Lei andava porta a porta, agendo da ponte tra la società e sua figlia in carcere. Nondimeno, la sua condizione di cuore si prese il meglio di lei, e lei morì giusto dopo che io fui rilasciata. Ancora, lei non era in pena quando ci lasciò, ma piuttosto sentiva che la giustizia sarebbe stata finalmente difesa, perché lei non aveva ascoltato l’ultimo commento nella causa. Dall’altro lato, mia sorella che era una qualificata amministratrice d’affari cambiò la sua intera vita per me. Appena lei ha saputo dell’accusa riguardante il Bazar delle Spezie, venne a trovarmi in prigione e mi disse, “Io prenderò parte alla tua battaglia giudiziaria. Io sarò il tuo avvocato”. E lei realmente ha rinunciato al suo lavoro, nel quale aveva notevolmente successo; rifece l’esame d’ammissione all’università, studiò legge, si laureò e divenne il mio avvocato. Il potere dell’amore dà la forza per resistere, anche contro le più severe difficoltà che ci si possa immaginare. Io ho potuto continuare questa resistenza, più di tutto grazie alla mia famiglia. Ma era solo la mia famiglia che stava al mio fianco? Mio padre non è stato mai lasciato da solo durante la sua battaglia giudiziaria. Gli avvocati che mi avevano difeso per sette anni, lottando contro questa cospirazione con grande dedizione e mantenendo viva la mia fiducia nel sistema giudiziario. Soprattutto ho sempre sentito che mi circondava una rete protettiva, formata prima di tutto dalle mie amiche donne, e da chiunque altro mi supportasse. La solidarietà di cui sono stata testimone è stata così sorprendente che la mia fiducia nell’umanità è sempre rimasta va. Anche i miei insegnanti hanno scritto al tribunale le loro opinioni su di me. Dopo l’ultimo processo, migliaia di persone inclusi artisti e pensatori molto importanti in Turchia hanno fatto dichiarazioni quali, “Noi siamo testimoni del fatto che Pinar Selek è contro la violenza”.

Io con la presente esprimo la mia gratitudine per la mia famiglia, i miei avvocati, i miei amici, le donne, e per tutta la gente più onesta che mi ha aiutato a superare questi ultimi otto anni.

Io ho protetto me stessa; ho difeso la mia esistenza contro l’assedio e l’inferno che mi hanno minacciato. Questa cospirazione non mi ha indebolito, ma, riguardo al nostro paese, ha propinato una storia che si ripete. La ricerca che avevo intrapreso, nonostante tutta la sua imperfezione, cercava strade, prospettive con le quali analizzare i nostri problemi, diversamente da quelle proposte dalle politiche di sicurezza nazionale. Che siano giuste o sbagliate è un’altra questione. Tuttavia se un fenomeno è reale, ciò che è importante è descrivere questa realtà in profondità. Quest’affermazione non dovrebbe mai esser dimenticata: “Se ogni cosa fosse stata totalmente chiara, non ci sarebbe stata nessuna necessità della scienza”. Ciò che a prima vista sembra essere la semplice caduta di una mela, quando è approcciata da un punto di vista scientifico, si riferisce a molte realtà dalla radice dell’albero al vento e alla terra. Noi dobbiamo affrontare in un simile modo il clima di violenza che abbiamo vissuto negli ultimi 20 anni. Per superare i problemi, si deve prima di tutto comprenderli; e per capire, si deve fare ricerca ed esplorare. Io credo che noi possiamo sanare e recuperare, anche con il minimo sforzo, ammesso che sia ben intenzionato. Ma noi non siamo ancora capaci di portare a termine questo. Tuttora, noi restiamo soltanto a guardare mentre l’acqua diventa ogni minuto più sporca, mentre noi siamo lentamente deprivati dell’aria fino a che non soffochiamo.

Gli eventi che ebbero luogo il 6 e 7 Settembre4 sono ancora freschi nelle nostre menti…Allora, i comunisti furono incolpati; furono arrestati ovunque intorno nella campagna. Anche Aziz Nesin5 fu arrestato a causa di ciò. Si comprese più tardi durante i tribunali tenuti a Yassiada6 che questa brutalità era stata organizzata di poteri politici dell’epoca. Inoltre, è stato svelato che colui che mise la bomba era Oktay Engin, un membro dei Servizi Segreti Nazionali (Milli İstihbarat Teşkilatı, MİT). Tuttavia cosa è successo allora? Quelli di sinistra sono stati messi a tacere per un certo periodo e sono stati costretti a difendersi.

Questo è quello che è successo. I gruppi di opposizione sono stati continuamente stigmatizzati, incolpati con accuse senza fondamento in modo che non fossero ritenuti affidabili. Sono sempre stati costretti a spiegare, a dar conto di qualcosa, a difendersi. Proprio come Orhan Veli7 scrisse:
Tu parli di fame

Allora, tu sei un comunista

Sei tu, allora, che hai bruciato tutti gli edifici

Quelli a Istanbul, tu

E quelli ad Ankara, tu

Oh che porco che sei…”

Con i miei migliori saluti,

PINAR SELEK
Translated by: Begüm Acar, Derya Bayraktaroğlu, Feride Eralp, Yelda Şahin Akıllı.
Edited by : Emek Ergun, Feride Eralp.

1 Il 7 Luglio 1998 ebbe luogo un’esplosione, nel Bazar delle Spezie, uccidendo 7 persone e ferendone 120. I rapporti dei periti hanno supposto che la causa di ciò fosse una perdita di gas, ma Pinar Selek fu accusata di aver depositato una bomba nel Bazar e il processo giudiziario ancora prosegue.
2 Una strada di Istanbul dove i travestiti vivevano e dalla quale più tardi vennero cacciati da gruppi fascisti, che furono condonati dalle forze di polizia e dalle autorità dell’epoca.
3 Un quartiere centrale di Istanbul.
4 Questi erano gli eventi che ebbero luogo nel 1955, durante i quali le minoranze non musulmane furono prese di mira (specialmente i Greci) e attaccati.
5 Un famoso scrittore turco, nato nel 1915, che fu messo costantemente sotto pressione e arrestato dai poteri politici per via di ciò che aveva scritto.
6 İ tribunali che ebbero luogo su un isola nel Mar di Marmara ad Istanbul dopo un colpo militare. Le importanti figure nel partito politico dominante furono condannate e tre persone incluso il primo ministro dell’epoca furono impiccate.
7 Un importante poeta turco.
Questa voce è stata pubblicata in Processo. Contrassegna il permalink.